venerdì 3 febbraio 2012

Nessun cambiamento è possibile senza ricominciare a pensare all’ecosistema, al territorio, al paesaggio

di Raffaella Bolini

Siamo un paese conficcato nel Mediterraneo. Abbiamo 7500 chilometri di costa: una grande parte del nostro territorio non è fatto di terra. Dal mare è venuta gran parte della nostra storia, e potrebbe essere scritto un pezzo importante del nostro futuro. E invece andiamo avanti a consentire, senza troppe preoccupazioni, che il nostro mare diventi sempre più un gigantesco cimitero di biodiversità. Ci muoiono a migliaia i migranti, perchè abbiamo trasfromato in muro ciò che dovrebbe essere comunicazione, scambio, cooperazione, società, economia e cultura ricca e condivisa. Ci muoiono a miliardi di miliardi i viventi non umani, animali e vegetali - avvelenati, razziati, devastati dalla ricerca del profitto ad ogni costo, dall'incultura e dall'ignoranza, dai traffici dei poteri criminali, dalla speculazione. Inquinamento, rifiuti, discariche, pesca, edilizia e turismo dissennati: merce anche il mare, da sfruttare e consumare fino a consunzione. E se muoiono le coste, se l'acqua è inquinata, cosa importa? C'è sempre un altro modo per guadagnare. Il mare diventa una autostrada, un parco giochi, una vetrina per sfoggio di ricchezza. Chi ama il mare lo sa: una nazione che potrebbe campare solo di turismo e di natura, ammirata invidiata sognata in tutto il mondo, da anni scientificamente uccide il piccolo diporto, la nautica popolare, il turismo dolce e leggero -quello che crea lavoro diffuso, economia locale, cultura del paesaggio e della bellezza, mentre difende e costruisce identità e cultura.


Rimane da un lato il turismo massificato e intruppato dei villaggi turistici e delle mega navi da crociera, con le piscine e gli animatori a farci tutti allegri e tutti uguali, e dall'altro il lusso delle marine per mega-yacht e i posti barca che costano più di un appartamento. L'immagine della Costa Concordia sdraiata davanti al faro rosso dell'Isola del Giglio, dentro al più grande parco marino d'Europa, nel Santuario Pelagos dove ancora si trova la foca monaca, è un simbolo di quello che siamo diventati. E anche una indicazione forte per tutti, anche per noi.


La crisi ci impone di cambiare, ma se pensiamo di trovare una via di uscita senza ricominciare a pensare all'ecosistema, al territorio, al paesaggio - e dunque anche al mare - come a una priorità politica, economica e culturale rimarremo arenati. Non è un tema per gli addetti ai lavori, non è un tema per gli appassionati. Non è questione da delegare agli ambientalisti, o agli operatori. Fa parte del disegno necessario di un altra società, di un modo diverso di produrre e di consumare, di vivere. Per coincidenza, proprio il giorno del disastro della Concordia, il Consiglio Nazionale dell'Arci ha approvato la realizzazione, nel suo programma per il 2012, di un corso di formazione per formatori Arci di buone pratiche ecologiche che si terrà all'inizio di giugno. Il gruppo di lavoro ‘ambiente, beni comuni e stili di vita’ aveva già deciso di tenere il corso su un’isola italiana, in modo da iniziare anche dentro l'Arci un discorso sul mare e sulle pratiche associative che alla difesa del mare potremmo, in tanti nostri territori, pensare e promuovere.


A fine febbraio, a seconda dei soggetti pubblici e privati che ci aiuteranno a sostenerlo, identificheremo la sede del seminario e inizieremo a prepararne il programma e la partecipazione. Tre saranno gli ambiti di lavoro su cui lavoreremo, per saper meglio trasformare i contenuti di una società sostenibile in pratiche concrete per i circoli dell'Arci, per i soci, per i cittadini: acqua cibo ed energia, viaggio turismo e cultura, e naturalmente il mare.


Confidando che ciò ci aiuti a saper meglio riconquistare spazio pubblico, difendere beni comuni e affermare democrazia.

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